Poche settimane fa, lo saprete, al Polo Nord sono stati registrati 40 ° in più rispetto alla media del periodo. Ecco, allora è ovvio che abbiamo delle emergenze che superano i dibattiti, quando sono troppo semplificati. Io sono la presidente di Slow Food Italia, ma mi sento più che altro un’attivista e allora devo anche fare un altro accenno che sta molto nell’attualità, perché non possiamo non ricordare che in questi giorni il biologico è stato oggetto di un ennesimo attacco internazionale da parte dell’amministratore delegato di Syngenta e stiamo parlando di una multinazionale che produce tra le altre cose pesticidi e sementi, che ha un fatturato che al pari di molti Stati del mondo e che è stata giudicata dal tribunale brasiliano responsabile per l’uccisione e il tentato omicidio di due attivisti della via campesina. Lo dico perché questi sono i tipi di potere che stanno dietro certe logiche e certi attacchi, che appunto appaiono evidentemente strumentali. Ci tenevo a dare questa cornice globale, perché parliamo dell’Italia ma non possiamo non considerare il quadro complessivo che è estremamente difficile.
Slow Food fin dalla sua nascita ha avuto la lungimiranza di muoversi sempre su due binari. Da una parte la tutela della biodiversità e di un prodotto che sia di qualità secondo i nostri requisiti che sono quelli di una piacevolezza nell’esperienza, ma anche la tutela ambientale e l’equità rispetto a chi questo cibo lo produce. Ma dall’altra abbiamo sempre lavorato sulla narrativa, perché di questo si parla. Anche la tesi dell’amministratore delegato di syngenta, si poggiava sul fatto che oggi 8 miliardi di persone sono sfamate grazie a innovazioni tecnologiche industriali ed è una narrativa falsata, prima di tutto perché l’agricoltura di piccola e media scala non è alternativa ma è tutt’oggi primaria e produce più della metà del cibo sul pianeta, quindi chiamarla alternativa è una questione di narrativa. Dovremmo dire che alternativa è l’agroindustria e oltretutto non per niente degli 8 miliardi di persone, sappiamo che almeno un miliardo patisce la fame. Quindi noi dobbiamo stare molto attenti alla narrativa e fare un lavoro importante sulla cultura gastronomica e ambientale percepita dalla società civile.
Parleremo di rigenerazione del suolo, dei luoghi, delle aree marginali, tutti i temi che incrociano l’agricoltura biologica e ovviamente i nostri amici biodinamici, ma la rigenerazione di cui abbiamo più bisogno e che è anche la più difficile è quella del pensiero, ed è quella su cui dobbiamo lavorare di più”