Bruce Lipton: “l’evoluzione è cooperazione”

Dall'epigenetica alla crisi evolutiva: le cellule ci insegnano la strada
1 Febbraio 2022

Voglio raccontarvi una delle storie più importanti che riguardano la vita su questo pianeta. 

Ha a che fare con la crisi. 

Basta sfogliare un qualunque quotidiano per trovare innumerevoli crisi, che abbiano a che fare con l’economia o con la violenza o con i razzismi o così via. 

In realtà non sono queste le crisi su cui ci soffermeremo ma sulla Crisi evolutiva

Torniamo indietro al 1970. 

Nel 1970 il WWF elaborò una stima di quanti animali ci fossero sul pianeta. E di recente, giusto due anni fa, ha fatto la stessa stima. Ed ecco il risultato: attualmente ci sono sul Pianeta due terzi di animali in meno rispetto al 1970. 

Inoltre numerosi biologici marini hanno stimato che per il 2048 non ci saranno più pesci nell’oceano. 

Stiamo distruggendo il regno animale, stiamo devastando i terreni fertili e stiamo inquinando il mare, a tal punto da causare di annientare la fauna marina. 

Recentemente in Germania, grazie ad uno studio sugli insetti presenti nei parchi nazionali, è stato scoperto che il 75 per cento degli insetti è scomparso negli ultimi 20 anni. Basta leggere un po’ in giro per capire che gli insetti stanno sparendo, che gli animali stanno sparendo. E anche i pesci. 

La NASA, con i suoi avanzati studi scientifici, ha dimostrato che la nostra civiltà andrà incontro a un collasso irreversibile nei prossimi decenni. 

Pertanto è fondamentale capire ciò che sta succedendo. 

E che la crisi a cui andiamo incontro è una crisi che necessita di un nostro cambiamento. 

Le crisi innescano l’evoluzione, nel senso che ciò che stiamo facendo sta distruggendo il pianeta. 

Nel corso della storia per cinque volte, mentre la vita prosperava, degli eventi catastrofici come l’impatto di una meteora o i movimenti di una tettonica a placche, hanno fatto estinguerete dal 70 al 95 percento di abitanti del pianeta. 

Queste sono le estinzioni di massa. Le precedenti cinque estinzioni di massa si sono presentate prima della nascita dell’uomo. 

La scienza ha ormai dimostrato che stiamo andando incontro alla sesta estinzione di massa e l’elemento fondamentale di tutta questa storia è che questa estinzione non dipende da cause naturali ma è causata dal comportamento dell’uomo. 

Gli esseri umani stanno distruggendo l’ambiente, senza rendersi conto di far parte di quello stesso ambiente. Distruggendolo distruggiamo noi stessi. 

Così facendo l’uomo si estinguerà. E non parlo di un futuro distante migliaia di anni, bensì 100. 

100 anni e l’umanità scomparirà da questo pianeta. 

Pertanto dobbiamo evolverci perché non possiamo proseguire lungo la strada dell’autodistruzione, perché così facendo arriveremo a questo. Quindi il nostro comportamento deve cambiare. Se vogliamo avere la possibilità di sopravvivere in futuro. 

Ecco perché vi sto parlando di tutto questo. 

Il concetto di evoluzione e i geni

Se vogliamo capire il concetto di evoluzione dobbiamo ritornare indietro fino al 1859, anno in cui Charles Darwin scrisse “l’origine della specie”. 

Secondo questo libro i fattori ereditari determinano le caratteristiche della vita. 

E ormai noi sappiamo che l’evoluzione inizia quando i geni modificano i fattori ereditari. E che nel corso di questi cambiamenti la natura seleziona quelli che migliorano la specie, eliminando quelle creature o quegli organismi che diventano meno adatti alla sopravvivenza. Questa è la selezione naturale. Dopo una mutazione la natura seleziona gli organismi più adatti alla continuazione della specie. 

Quindi noi percepiamo l’evoluzione come qualcosa che riguarda i cambiamenti genetici. 

Per capire meglio, dobbiamo arrivare al 1875, quando Ecker creo l’albero della vita. Un albero dell’evoluzione. 

Alla base ci sono gli organismi più primitivi e man mano che si sale possiamo osservare organismi sempre più complessi e in cima c’è l’uomo. 

I batteri ad esempio stanno alla base dell’albero dell’evoluzione. 

Continuando ad evolversi arrivarono fino all’uomo che presumibilmente sta in cima all’albero dell’evoluzione. 

Per capire il motivo di questa evoluzione, basta tornare a Darwin per rendersi conto che tutto ruota intorno ai geni. 

Si è iniziato a pensare che più un organismo è complesso più saranno complessi i suoi geni. 

Cosi iniziammo a considerare l’evoluzione come un aumento della complessità dei geni, ottenendo così un metro di misura per l’evoluzione. 

Allora proviamo a misurare i geni. Bene ecco il primo fattore da considerare: nel 1944 si scoprì che i geni sono i responsabili della creazione delle proteine nel corpo. Nel corpo ci sono più di 100.000 proteine.

Allora gli scienziati supposero che se nell’uomo ci sono più di 100.000 proteine e a ogni proteina corrisponde un gene, allora il genoma umano è composto da più di 100.000 geni. Nacque così il progetto genoma umano, che formulò la teoria secondo cui l’uomo è un organismo molto complesso con più di 100.000 geni. 

La ricerca iniziò dagli organismi primitivi. Il primo fu un piccolo verme chiamato Caenorhabditis elegans, che misura un solo millimetro in lunghezza e ha solo 1271 cellule.

Gli scienziati si resero conto che decifrando i suoi geni, avrebbero potuto collegarli al comportamento.

Prima cosa da fare per decifrare il genoma, che è la totalità dei geni, era osservare questo piccolo verme. Trovarono circa 20.000 geni.

Ipotizzando che più si sale lungo l’albero dell’evoluzione maggiore sarà la complessità.

Il secondo organismo studiato fu il moscerino della frutta, che fu studiata per anni al fine di capire quanti geni avesse in più rispetto al verme. Il risultato fu sconvolgente: pur essendo maggiormente complesso rispetto al verme, il moscerino aveva solo 17.000 geni. 

Questo fece crollare l’ipotesi che più si salisse lungo la complessità dell’albero aumentasse il numero dei geni.

Ma la ricerca andò avanti perché si voleva studiare il genoma umano. E nel 2001 i risultati iniziarono ad arrivare.

Dopo tutte quelle ricerche scoprirono che ci sono solo 20.000 geni nel genoma umano: gli esseri umani hanno lo stesso numero di geni del piccolo verme, pur avendo 50 trilioni di cellule. Fu sconvolte scoprire che stare in cima all’albero dell’evoluzione non comporta un maggior numero di geni. 

Quindi i geni non sono un buon metro di misura per quanto riguarda l’evoluzione.

Quindi che conclusioni possiamo trarre per l’evoluzione? Che differenza c’è tra la cima e la base dell’albero?

Darwin non fu il primo ad elaborare una teoria scientifica sull’evoluzione: 50 anni prima lo scienziato Giambattista De Lamarck elaborò una teoria scientifica nel 1809.

Nella sua teoria dice una cosa molto interessante ovvero che la differenza tra gli organismi risiede in una differente complessità del sistema nervoso. Gli organismi primitivi dispongono di un sistema nervoso semplice e man mano che si sale in cima diventa più complesso.

Tutto ad un tratto spiega su cosa si basa l’evoluzione: sul sistema nervoso. E il sistema nervoso è coscienza. E la coscienza viene definita consapevolezza dell’ambiente in cui un organismo è consapevole e risponde ai cambiamenti ambientali.

L’organismo più primitivo, il batterio è consapevole dell’ambiente in cui vive, pertanto modifica i suoi geni per adattarsi. È direttamente connesso e interagisce con l’ambiente che lo circonda.  

Dunque i batteri sono consapevoli per definizione.

Allora noi dobbiamo misurare la coscienza. 

E come possiamo farlo? Misurando la dimensione del cervello.

No, non è così che funziona.

Qual è il vero metro di misura della consapevolezza?

L’epigenetica

Partiamo da una ricerca che iniziai nel 1967 che rivelò come l’ambiente si regola in base ai geni e al comportamento dell’organismo.

Mi soffermai sulla membrana cellulare, sulla pelle della cellula e non sui geni, che invece si trovano nel nucleo e si riproducono. 

Il nucleo per definizione è la gonade della cellula e consente la riproduzione delle proteine e della cellula. Quindi piuttosto che osservare i geni e il nucleo, ho voluto osservare il cervello e ho scoperto che nelle cellule il cervello è la pelle stessa. 

Questo poiché la pelle fa da tramite tra l’ambiente esterno e la biologia interna, così nella mia ricerca iniziai a studiare come l’informazione ambientale viene tradotta in consapevolezza dalle cellule.

Ciò mi portò a studiare la struttura della membrana cellulare, che è alla base di quella scienza che chiamiamo epigenetica. 

È stato scoperto che la membrana cellulare, sebbene alquanto primitiva, se vista al microscopio elettronico, in cui sembra avere un piccolo strato superficiale nero e bianco, questa struttura primitiva, o almeno all’apparenza, dato che i biologici convenzionali sono convinti che la membrana sia solo un semplice rivestimento che tiene insieme la cellula, avendo questa una struttura molto semplice. Eppure continuai a studiarne a fondo la struttura, sotto quell’elegante semplicità apparente. 

Una notte ebbi un’intuizione: capii che la membrana cellulare è un cristallo semiconduttore con porte e canali. Caddi quasi dalla sedia, dopo essermi reso conto di aver già letto questa cosa da qualche altra parte. Così mi misi a cercare il libro sui microprocessori, che avevo comprato per capire il funzionamento del mio nuovo computer. Trovai la definizione di chip del computer: un cristallo semiconduttore con porte e canali.

La stessa definizione!

Più osservavo la struttura molecolare e più mi rendevo conto che la membrana cellulare non è simile a un chip del computer, ma un vero e proprio chip in carbonio, che ha le stesse caratteristiche e funzioni e meccanismi dei circuiti integrati.

Questa può convertire i segnali ambientali in risposte biologiche. 

Quindi studiando la struttura della membrana capii che ci sono proteine chiamate recettori e proteine chiamate effettori, che i recettori ricevono i segnali e gli effettori convertono i segnali ricevuti in una risposta comportamentale, come in un dispositivo di input e output.

I ricettori hanno una antenna che capta i segnali e una volta decifrati li manda agli effettori, che innescano una risposta biologica.

Avviene uno scambio. 

Mi chiesi quale fosse la causa. 

La prima proteina si chiama recettore, la seconda effettore, mentre la più comune si chiama proteina canale. 

La funzione del recettore è la consapevolezza dell’ambiente. Come le cellule anche noi abbiamo dei recettori, nella pelle, negli occhi, sulla lingua, sulle dita, nella nostra membrana, pertanto condividiamo le stesse risposte. Codifichiamo l’ambiente attraverso i nostri recettori. Le cellule decifrano l’ambiente tramite i recettori, che sono legati alla consapevolezza ambientale.

La proteina canale traduce i messaggi ambientali in comportamenti biologici, mandando una sensazione, un segnale fisico, sotto forma di ioni caricati nella cellula. Quindi la proteina canale genera sensazioni fisiche, delle riposte, dopo aver decifrato l’ambiente.

Quindi ecco la definizione di membrana cellulare: consapevolezza degli elementi ambientali attraverso una sensazione fisica. E questa definizione più essere racchiusa in una parola sola di uso comune: PERCEZIONE, ovvero, leggendo dal dizionario, proprio consapevolezza degli elementi ambientali attraverso una sensazione fisica. 

I recettori e gli effettori sono l’unità di misura della percezione e che la consapevolezza è data da un insieme di percezioni. 

Per la prima volta avevamo un’unità di misura della consapevolezza: queste proteine switch, i ricettori e gli effettori, della membrana cellulare.

Allora pensai: possiamo misurare la consapevolezza in base al numero dei recettori presenti nella membrana cellulare. Ma poiché il recettore e l’effettore hanno lo stesso spessore della membrana, queste non potranno essere disposte l’una sopra all’altra ma una accanto all’altra.

Il numero di unità di percezione dipende dalla quantità di superficie che queste possono ricoprire sulla superficie.

Quindi iniziai a considerare la membrana come superficie che è proporzionale al numero di unità di percezione.

Ma il numero di queste unità dipende dall’estensione della superficie della membrana. Si può misurare la consapevolezza calcolando la superficie della membrana. 

Mi concentrai sugli organismi più primitivi sulla terra: i batteri. 

Mi resi conto che questi sono organismi invertebrati, perché hanno uno scheletro all’esterno, una capsula che permetterà alla cellula di crescere fino ad un certo punto. 

La superficie della membrana sarà limitata.

La cellula del batterio può creare delle pieghe che aumentano le dimensioni della membrana e quindi più membrana significa più consapevolezza.

Allora l’evoluzione si fermerà.

Ma l’evoluzione ha usato un’altra tattica.

Allora quel batterio più intelligente si è unita con altri batteri creando intorno a sé e agli altri batteri una membrana chiamata biofilm.

Un insieme di batteri dai comportamenti diversi, cellule cooperano.

L’evoluzione ha prima creato il batterio più intelligente che ha raggiunto l’ampiezza massima della membrana per poi creare una comunità in cui condividere la loro consapevolezza (il biofilm).

Poi l’evoluzione fece un passo indietro per creare un passo ancora avanti: l’ameba. Un grande organismo unicellulare con all’interno degli organuli che svolgono compiti diversi. L’evoluzione portò la comunità dei batteri a integrare i propri comportamenti e i geni di tutti i batteri si unirono in uno solo batterio che divenne il nucleo della cellula. Una struttura detta nucleo era in grado di definire tutti i comportamenti all’interno della membrana.

L’ameba anziché sviluppare uno scheletro esterno ne sviluppo uno interno (citoscheletro), questo ha permesso alla cellula di divenire enormemente più grande di un batterio. Grazie alla membrana diventata sempre più grande.

L’ameba diventò sempre più intelligente e creò sempre più membrane per poter assolvere alle funzioni della cellula. 

Quindi l’evoluzione crea prima un batterio intelligente, poi lo mette insieme ad altri simili sotto un’unica membrana (il biofilm), infine crea diversi batteri che condividono la stessa consapevolezza chiamata ameba e a quel punto l’ameba stessa diventa più intelligente. 

La membrana può contenere solo una certa quantità.

La cellula era come un palloncino pieno d’acqua. Se si fosse riempita troppo sarebbe esplosa e il contenuto sarebbe fuoriuscito.

Ecco quindi che la cellula di tipo vertebrato non può aggiungere membrane, ma le amebe più intelligenti si unirono creando le piante e gli animali. Un essere umano è composto da 50 trilioni di amebe che condividono la consapevolezza della membrana. E più membrane si hanno più la coscienza umana diventa complessa. 

Il cervello umano, che contiene il sistema nervoso, è ricco di struttura a membrana. Infatti è bianco perché le membrane sono fatte per lo più di lipidi. Contiene un gran numero di membrane, racchiuse in trilioni di cellule, che creano una struttura complessa chiamata sistema nervoso.

Pertanto l’organismo umano non è altro che una comunità evoluta di 50 trilioni di amebe.

Quindi la terza fase dell’evoluzione è quella che creò l’essere umano più intelligente, nelle ultime centinaia di migliaia di anni.

La dimensione del cervello è limitata dalla presenza del cranio, proprio come la capsula del batterio.

Ci sono delle grinze, che sono la stessa tecnica che i batteri hanno usato durante la loro evoluzione, per progredire creando il mesosoma.

Maggiore è la superficie del cervello e maggiore sarà l’intelligenza. E tutte quelle grinze servono per aumentare la superficie, così maggiore sarà l’intelligenza.

Allora fu creato l’Uomo più intelligente, fino a quando il suo cervello smise di crescere essendo limitato dal cranio, proprio come nelle altre fasi dell’evoluzione.

Nella fase uno viene creato l’organismo più intelligente e nella fase due questi organismi formano una unità e condividono la loro consapevolezza, passando fino al livello successivo in cui c’è un’intelligenza comune. 

La consapevolezza delle cellule

È uno schema ricorrente.

Dopo il primo batterio ne nacque uno intelligente che si unì agli altri batteri creando una comunità di batteri (detto biofilm) poi si formò l’ameba che era un organismo superiore. Poi ci fu l’ameba più intelligente che ad un certo punto smise di svilupparsi per evitare di distruggere la sua membrana e le amebe formarono una comunità e unendosi hanno creato nuovi organismi creando piante, animali e l’uomo.

Noi siamo una comunità di 50 trilioni di amebe che condividono la consapevolezza. E cosa viene dopo? La consapevolezza dell’uomo è limitata dal sistema nervoso e dal cervello nel cranio, che diventa una limitazione. Una volta raggiunta la massima consapevolezza cosa succederà? La storia suggerisce il formarsi di una comunità.

Una nuova evoluzione, che ci porterà al punto in cui non vedremo più noi stessi come singoli individui, ma come cellule creando un super organismo chiamato umanità. Questo significa che dobbiamo abbattere confini e barriere che ci tengono separati gli uni dagli altri, perché così facendo separiamo anche la nostra intelligenza. Dobbiamo creare unità.

E la creazione di questa evoluzione è iniziata grazie all’evoluzione di internet, che sta permettendo a 7 miliardi di persone di interagire tra loro, di condividere le proprie idee e di creare una saggezza comune.

Siamo diventati più intelligenti non in quanto individui.

Osservando l’ascesa della tecnologia osserverete allo stesso tempo un’ascesa della popolazione: più persone significano più consapevolezza condivisa. Più un gruppo condivide la consapevolezza, più intelligente sarà quel gruppo. 

L’evoluzione è la cooperazione

E noi ora ci troviamo a questo punto. Il mondo oggi giorno sta andando incontro al caos e alla crisi. E questo significa che il vecchio modo di vivere in un mondo darwiniano basato sulla competizione e la lotta per la sopravvivenza, è completamente obsoleto. Evoluzione non significa competizione. L’evoluzione è cooperazione. La biologia finalmente sta iniziando a capire tutto questo: l’evoluzione si basa sulla cooperazione e perciò le barriere religiose, razziali, nazionaliste, tra uomo e donna, tutto ciò che trasforma gli esseri umani in individui deve essere eliminato dalla nostra coscienza.

Dobbiamo capire che possiamo sopravvivere solo lavorando collettivamente e considerando ogni essere umano come una cellula facente parte di quel super organismo che è l’umanità. L’umanità è quell’organismo unicellulare che rappresenta la prossima fase evolutiva. E quando guardò ciò che accade nel mondo e vedo il caos, ne sono felice perché se non fossimo andati incontro al caos e avessimo continuato per la nostra strada, probabilmente ci saremmo estinti.

Se decidessimo di non formare una comunità, allora nel nostro futuro ci sarà l’estinzione. 

Guardandovi intorno vedrete crisi economiche, sociali, razziali. Tutto ciò rappresenta l’opportunità di creare un nuovo mondo. Di lasciar perdere gli stereotipi e di iniziare a considerare gli altri come cellule vitali di un organismo. 

Uccidere un altro uomo è come avere una malattia autoimmune nel proprio corpo, dove il corpo uccide le proprie cellule causando la malattia.

Dobbiamo rispettare ogni forma di vita e ogni creatura vivente sul pianeta perché fanno tutti parte di quel sistema chiamato natura.

La natura si sta distruggendo ed è colpa nostra. E siamo gli unici a poter cambiare le cose. Possiamo unirci e cominciare a renderci conto che lavorare uniti in armonia ci farà sopravvivere e ci darà l’opportunità di prosperare in futuro, non andando più incontro all’estinzione ma ad una nuova evoluzione consapevole.Dobbiamo sbrigarci a gettare le basi per una evoluzione spontanea, perché ci rimane poco tempo. 

Ora quando vi guarderete intorno e vedrete il caos potrete dire grazie, perché il caos ci porterà verso l’evoluzione. E il caos è ciò che ci serve per poter creare quell’organismo sostenibile e prospero chiamato umanità.

Bruce Lipton

Biologo cellulare

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Insegnamenti di Consapevolezza - Roberta Busatto
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