Nuove visioni per salvare il pianeta: “Primavera ambientale” di Ferdinando Cotugno

L'intervista all'autore per Vivere Naturale Mindful Magazine a cura di Donatella Vassallo
25 Novembre 2022
COP primavera ambientale

“Ora è il momento della cosmogonia, immaginare cosa diventeremo, chi saremo, qual è la destinazione, cosa c’è ad attenderci in porto dopo le tempeste”. Ferdinando Cotugno va dritto al punto: in “Primavera ambientale. L’ultima rivoluzione per salvare la vita umana sulla terra” (Il Margine editore, 2022), sostiene che la lotta ai cambiamenti climatici sia fatta anche di nuove visioni, di nuovi sguardi, di cosmogonie appunto. E per quelle cosmogonie servono alleanze. 

Parte anzitutto dal riconoscere le conquiste raggiunte dal movimento degli attivisti ambientali: “C’è una lunga storia di vittorie ambientali”– ci dice in quest’intervista – “risalgono alle leggi degli anni ’70 negli Usa (EPA, clean water act, clean air act), la moratoria per la caccia alle balene, il trattato di Montreal per il buco dell’ozono, l’accordo di Parigi, il Green Deal europeo, di recente l’I.R.A. Usa. I risultati non arrivano sulla scala richiesta, o alla velocità richiesta, ma arrivano, ed è vitale vederli e riconoscerli. E poi ci sono le vittorie culturali, il cambio di percezione e di scala di priorità. Il clima non era tra le questioni centrali della geopolitica e della politica nel 2017. Ora lo è, e questo è effetto delle mobilitazioni che abbiamo visto dal 2018 in poi”. 

A pg. 46 scrivi “Non è la presenza umana sulla Terra la causa del collasso, ma di uno specifico modo di vivere, consumare e produrre. L’uso senza limiti di risorse naturali e corpi umani, del nostro tempo, della nostra libertà individuale e collettiva, degli spazi coloniali, dei suoli e degli animali, ha creato le condizioni per il disastro”. Credi quindi che un modello di sviluppo diverso avrebbe permesso di scrivere una storia diversa per il nostro pianeta? È possibile uno sviluppo allineato al progresso?

Credo che un modello di sviluppo diverso oggi sia necessario per una transizione che sia equa, giusta, che sia in grado di limitare diseguaglianze locali e globali. Non possiamo risolvere la crisi ecologica con gli strumenti e le logiche che l’hanno creata. Probabilmente c’è da ridefinire l’idea di progresso e di come lo misuriamo: oggi ci siamo accontentati dell’idea di crescita. Ma forse è giunto il momento di disaccoppiare progresso e crescita del PIL. 

Nel tuo libro insisti spesso sul diritto di salvaguardare la bellezza come un elemento fondamentale della lotta per la difesa dell’ambiente. Questo mi ha ricordato il monito di Peppino Impastato: “Se si insegnasse la bellezza alla gente, la si fornirebbe di un’arma contro la rassegnazione, la paura e l’omertà”. In concreto, come si educa alla bellezza e perché è importante farlo?

È importante farlo per ricordarci per cosa ci stiamo battendo, per superare la cupezza e la paura che spesso sono al centro del discorso sul clima (emozioni necessarie, ma serve anche andare oltre, ecco). Come ci si educa alla bellezza è un tema complesso: a scuola, innanzitutto, l’educazione all’ambiente non è solo un’educazione alla cura dell’ambiente ma anche alla sua importanza. Ci si educa alla bellezza stando nel mondo. 

Il tema della crisi ambientale si accompagna a quello della giustizia climatica: di fatto, chi sta pagando di più i costi della distruzione della terra sono i popoli che hanno meno sfruttato le sue risorse. Chi li ripagherà? Perché dovrebbero mettersi al nostro fianco in una lotta che li vede meno responsabili del disastro planetario?

L’atmosfera non ha confini, quindi l’unica strada per attenuare gli effetti peggiori della crisi climatica è la cooperazione. Questo è chiaro anche ai paesi meno responsabili, che sono anche i più vulnerabili, sono la prima linea del disastro, non sono tanto loro a doversi mettere al nostro fianco quanto noi a doverci mettere al loro. Chi li ripagherà è il tema del loss and damage, tocca a noi, gli strumenti sono ancora da definire, ci vorranno anni, la proposta più concreta è una tassa globale sugli extraprofitti delle aziende energetiche. 

Nel tuo libro, a un certo punto, parli di un elemento cognitivo che ostacola ulteriormente la lotta per la difesa ambientale: la fallacia dei costi irrecuperabili. Vuoi spiegarci di cosa si tratta e come la si può superare?

La fallacia dei costi irrecuperabili è quella tendenza a continuare a perdere, anche quando hai già perso tanto, proprio perché fai fatica ad accettare di aver perso così tanto. La si supera non scaricando i costi della crisi sulle persone che sono più esposte, fragili e in difficoltà, provando a cambiare la società senza distruggerla, è l’essenza della giusta transizione. 

Leggendo il tuo libro ho avuto l’impressione che, se esiste una qualche possibilità di salvarci, questa non arriverà tanto dalla tecnologia quanto dal patrimonio di conoscenza dei popoli indigeni. È così? E perché?

Non esiste un’unica soluzione alla crisi climatica, serve la tecnologia, serve l’innovazione, serviranno anche i patrimoni di conoscenza delle comunità indigene, soprattutto per proteggere gli ecosistemi critici per assorbire la CO2 e tenere in equilibrio il clima. Lula affiderà un’area più grande dell’Italia di foresta amazzonica alle comunità indigene perché la scienza (rapporto Fao 2021) ci dice che sono i migliori guardiani della foresta, e lo fanno nell’interesse loro come nostro. 

Da settimane sui nostri media si parla di crisi energetica e dell’impatto che questa sta avendo sui nostri consumi. Secondo te, c’è un modo per affrontare la prima senza rimettere in moto le centrali inquinanti?

La crisi energetica ha cause molto simili a quelle della crisi climatica: dipendenza da combustibili fossili. L’Agenzia internazionale dell’energia dice che i combustibili stanno arrivando al picco, nel 2025, e inizieranno a declinare, proprio perché ormai è evidente che sono costosi e pericolosi. Il solare e l’eolico sono le fonti di energia più economiche che l’umanità abbia mai avuto. Bisogno accelerare lì, coniugandole con efficienza e risparmio.

Cosa vorresti che rimanesse ai lettori del tuo libro?

Per me questo libro è un atto di speranza. L’idea che siamo ancora in tempo, l’idea che da questa combinazione di crisi possa uscire un mondo non solo più sostenibile, ma anche migliore, una società più giusta. 

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Donatella Vassallo
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Insegnamenti di Consapevolezza - Roberta Busatto
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