Poter intervistare un artista è sempre una grande occasione, perché ci consente di immergerci nella profondità delle cose umane, di sfiorare la bellezza, di uscire dal tempo cronologico per entrare in una dimensione universale.
Mi piace farmi guidare da quell’istinto puro che è proprio di chi lavora la materia in un modo del tutto proprio.
Si potrebbe dire che Palmalisa Zantedeschi faccia vivere la pietra. In realtà è più giusto dire che sa rivelare la sua vita celata e, ai più, invisibile.
Le sue opere sono un’affascinante viaggio dentro la parte più nascosta della materia, quella, appunto, che vive, che parla, che racconta.
Presente a Homo Faber 2022, a Venezia, dal 10 aprile al 1° maggio 2022 con il suo pannello decorativo “San Giorgio”, la creativa del marmo di Cavaion Veronese, esporrà anche a giugno alla Milano Design Week.
Per un approfondimento rimandiamo al nostro articolo: https://www.viverenaturale.info/palmalisa-zantedeschi-crea-il-pannello-decorativo-san-giorgio/.
Ma ora godiamoci l’intervista che ci ha rilasciato per Vivere Naturale Mindful Magazine!
La sua prima collezione di opere scultoree si intitola “Incanto”, una parola che evoca la magia, la meraviglia, il fascino. Ci spiega perché?
La ricerca e l’approfondimento nel mondo della pietra, mi ha permesso di scoprire mondi di bellezza illimitata nascosta fra le pieghe delle montagne. Lo stesso processo di creazione della pietra è un miracolo di fusioni fra varie materie i cui processi scavalcano il nostro senso comune del tempo.
L’uomo è solito attribuire alla pietra, così come alla terra e ai minerali, un valore puramente statico, inerte, inanimato. Lei invece la racconta come essenza viva…. Ma la vita di cui è testimone appartiene a lei, alla materia stessa, o alle mani di chi la lavora?
La materia è apparentemente statica, inerte. In realtà cambia aspetto e significato ad ogni piccola interazione con l’ambiente ed attraverso le lavorazioni, non a caso chi lavora con passione questo materiale non riesce a staccarsene, tanto da essere definito dai nostri vecchi scalpellini ‘malato di pietra’. È come si ripetesse un’unione Ancestrale.
I titoli delle sue opere richiamano la natura, come “Cloud”, ma anche emozioni umane come “Abbraccio”, “Impulso” o immagini di vita quotidiana come “ballerine” o “drappo”… qual è il filo che le unisce tutte?
Non c’è un filo comune che collega i nomi, normalmente vengono assegnati ad opera finita in funzione di quanto l’opera stessa rivela. Essendo un viaggio dentro la materia il nome così come le emozioni che evoca, si svelano lentamente. Lo svelarsi può suggerire diverse interpretazioni, che dipendono da chi le osserva.
Le opere d’arte sono rappresentazioni di un attimo, un momento, un’emozione, un’immagine, capaci di uscire dal tempo. È questo il talento più profondo di un’artista: dare voce a ciò che è nascosto o che è universale?
Si, sono attimi capaci di uscire dal tempo, un momento magico dove la razionalità tace e lascia fluire l’impercettibile.
Può l’arte essere testimone di pace?
L’arte in tutte le sue forme è bellezza. E la bellezza non può non essere testimone di pace, se l’umanità contemporanea cogliesse la piena bellezza racchiusa in ogni piccola creazione e sapesse goderne profondamente, si renderebbe conto che siamo parte di un miracolo.
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