Patrizia Saccà: il mio Yoga a Raggi Liberi

Ex Atleta Paralimpica, è tra le pochissime insegnanti di Yoga al mondo per le persone con disabilità
12 Aprile 2023

di Angela Iantosca

Lo Yoga è anima, è sentire con il cuore, è uscire dal corpo fisico, è calma, concentrazione, armonia.

È unione e consapevolezza. È meditare con il respiro.

E non importa quale sia il corpo che tu abiti, dove ti trovi, perché in qualsiasi condizione tu pratichi, lo Yoga ti farà sentire farfalla, aria, respiro.

Lo ha scoperto a 28 anni Patrizia Saccà, campionessa paralimpica di tennis da tavolo che ha incontrato lo Yoga nel 1992 quando doveva prepararsi al meglio alle Paralimpiadi di Barcellona.

Aveva bisogno di far uscire la rabbia, la paura, le tensioni, l’ansia e di lasciare spazio solo alla pace nella quale poter visualizzare il suo obiettivo, facendosi pallina capace di fendere l’aria.

Ma poi non è stato più sufficiente ‘solo’ praticare. E Patrizia, dopo anni di studio, ha deciso di arrivare a poter insegnare lo Yoga anche a chi, come lei, a causa di un incidente o di una malattia, convive con una disabilità (Patrizia è paraplegica dall’età di 13 anni a causa di una caduta – nda).

Perché non esistono limiti e praticare Yoga, anche con quella parte di corpo che non risponde più, aiuta a connettersi meglio con sé e con il mondo intorno, ad ampliare le percezioni, a conoscersi, ad accogliere una nuova condizione fisica.

Così è nato Yoga a Raggi Liberi che dal 2018, anno in cui è stato ideato, ha fatto molta strada.

“Ammetto di essere una pioniera. Siamo solo due istruttori in sedia a rotelle di yoga al mondo e la pandemia, nella sua tragicità, ha fatto anche dei regali. A me ha permesso di continuare a praticare, spostandomi online sulla piattaforma con cui collaboro (www.ottostudio.it), mi ha permesso di raccogliere più persone, di farmi conoscere e di organizzare classi con allievi di tutta Italia, con normodotati e persone con disabilità”.

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Quello che pratichi è uno Yoga integrale frutto di lunghi studi.

“Ho fatto ricerca per anni, dal giorno in cui ho incontrato per la prima volta quel tappetino che mi ha fatto sentire a casa. Da quel momento lo Yoga è diventata la mia etica, la mia guida che ho continuato a seguire anche dopo aver lasciato lo sport. Nel 2017 sono diventata insegnante, dopo aver preparato una tesi sul Saluto al Sole per persone in carrozzina. È stato un lavoro lungo, che ho ripetuto per mesi, più volte al giorno, intervistando anche medici perché dovevo essere sicura che le posizioni da me ideate fossero corrette, migliorassero la condizione fisica e non facessero del male”.

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Quale è la più grande soddisfazione?

“La soddisfazione più grande è proprio ciò che mi dicono gli allievi: “Mi sento una farfalla quando pratico”, “mi sento aria nell’aria”, “i dolori si sono alleggeriti”. Quello che facciamo durante la pratica, infatti, è porre l’attenzione a tutto il corpo fisico, portando l’energia in ogni sua parte attraverso la respirazione, per arrivare ad una smaterializzazione del corpo. Ma per far questo, non bisogna ignorare nessuna parte del corpo: io faccio lavorare gambe e i piedi, anche quando le gambe e i piedi non si muovono più. E lo facciamo con l’aiuto delle braccia e delle mani che consapevolmente portiamo a quelle zone che non sentono più. La cosa importante è capire che questo è il corpo che abitiamo e che, comunque, ci dà la possibilità di muoverci nel mondo, anche se il mio contatto con il pavimento e la terra per me avviene sempre attraverso una carrozzina. Anche quando faccio delle meditazioni, parto sempre dalle radici dei piedi, come se ognuno di noi fosse sostenuto da quella radice, anche se siamo sostenuti dalla sedia e non sentiamo i piedi”.

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Lo Yoga è una pratica prevista in Unità spinale?

“L’ho portato nelle diverse Unità Spinali italiane solo per presentare il libro. Questo perché la fase dell’Unità spinale è un momento molto delicato: si va lì subito dopo l’incidente e la persona è ancora troppo fragile. Anche se io sogno che venga inserita come pratica in tutte le Unità spinali d’Italia. Fa bene, dà pace, aiuta nella comprensione e nell’accogliere ciò che è”.

Quando è arrivato il riconoscimento del tuo lavoro prezioso?

“Goccia dopo goccia. È arrivato con i primi allievi, con la prefazione di Luca Pancalli al mio libro “Yoga a Raggi Liberi. Surya Namaskar” (Photocity.it), con il brevetto delle 12 posizioni del Saluto al Sole, quando il primo allievo mi ha detto che dopo la pratica si sentiva libero e altri che si sentivano vitali. Dal Coni che con CSEN ha riconosciuto il mio metodo tanto che posso insegnarlo alle insegnanti di yoga che formo personalmente: a marzo, per esempio, con mia grande gioia si sono diplomate quattro insegnanti riconosciute dal Coni grazie a Csen e sono soddisfatta perché fino ad ora sono già 26 le insegnanti che hanno seguito il corso. E continua ad arrivare ogni mercoledì quando le persone si collegano in piattaforma per praticare ma anche per imparare: non di rado, infatti, si collegano insegnanti che vogliono imparare per sapere cosa si può fare e non fare con una persona che ha diversi tipi di disabilità. A questo proposito devo dire grazie al primo medico che mi ha aperto le porte, il dottor Torchio. Grazie al mio insegnante Mario, che mi ha portato a tanta consapevolezza. Sai quante scuole non mi hanno fatto entrare perché non sapevano come farmi fare yoga? E poi devo dire grazie anche agli allievi e alle allieve e ad Allegra Magenta atleta paralimpica testimonial di Yoga a Raggi Liberi. E poi sono grata di collaborare con l’Unione induista per Yoga senza barriere, con la quale prenderò presto un secondo diploma”.

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Con il dottor Torchio

Hai dato vita ad un gruppo che si chiama le Guerriere di Luce: di cosa si tratta?

“È un gruppo di donne, tutte paraplegiche, di diversa estrazione: c’è una scrittrice, due atlete paralimpiche, una mamma, una donna grande e poi l’atleta Sara Morganti. L’ho costituito per Giulia una ragazza divenuta paraplegica dopo un incidente: durante la pandemia la mamma mi ha cercata per farle fare qualcosa che la tranquillizzasse, dopo un anno dall’accaduto, così ho pensato di organizzare questo gruppo per fare yoga insieme, ma in modo che fosse sostenuta da altre donne, che vivesse dei momenti con noi, per mostrarle che c’erano tante realtà”.

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Con Suddhananda, una monaca dell’Unione induista per Yoga senza barriere

Come sarebbe stato diverso il tuo percorso se avessi incontrato lo yoga a 13 anni a ridosso dell’incidente?

“Sarebbe stato un grande aiuto. Ma l’ho trovato quando ero pronta a incontrarlo”.

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Dizionario del Benessere
Insegnamenti di Consapevolezza - Roberta Busatto
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